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1.3.17

Reporting from the front. Dal campo di battaglia qualche mese dopo.



C'è un'immagine della scorsa biennale di architettura 2016, curata da Alejandro Aravena, con la quale vorremmo aprire questo blog. 
Non si tratta dell'immagine iconografica scelta per rappresentare la biennale; quella della donna sulla scala che guarda l'orizzonte. Oltre a un suolo desolato sembra che ci sia qualcosa da guardare; da una prospettiva diversa, però, al di sopra del panorama a raso suolo che sembra non fornire altro che esempi sterili di architetture mancate.  C'è da chiedersi cosa sono i cavi che giaciono sotto la scala (una latente possibilità di collegamento con altre realtà a distanza?) e perchè mai sia proprio una donna a mostrarci un futuro possibile. 



Non è neanche il primo impatto visivo della biennale allestito nell'arsenale;  un enorme vestibolo che da il benvenuto costruito con il materiale di recupero della anteriore biennale d'arte; un manifesto dichiarato alla futilità delle architetture temporanee che sembrano essere inconsapevoli o, peggio ancora, non curanti dell'impatto ambientale della loro ambiziosa costruzione? Può darsi.

Certamente questa biennale ha offerto notevoli spunti e ci piace cominciare a scrivere sul nostro blog partendo da essa perché sicuramente ha segnato un punto di svolta nel panorama mediatico dell'architettura, volendo aprire lo sguardo e gli ambiti che la riguardano ed estendendoli fino ad arrivare all'essere umano.  Si è già parlato in passato dello scollegamento tra società civile e architettura negli ultimi decenni; questa biennale sembra voler mostrarci un'alternativa possibile dove l'architettura si occupa in prima persona della società offrendo risposte sensibili alle sue necessità.  Ma il suo pregio, a nostro avviso, non è stato solo quello di superare l'idea di architettura come rappresentazione di potere per arrivare a quella di stare al servizio delle persone, ma di ripartire o di riscoprire, con un vero e proprio senso di rinascita, la sua natura più profonda; quella costruttiva.

Ci interessa soffermarci su un'immagine abbastanza marginale, che non ha avuto il rilievo delle anteriori o di altre eloquenti rappresentazioni, ma che presenta chiaramente alcune idee chiave per la lettura della biennale e qualche interrogazione. 

L'oggetto della nostra curiosità è la scelta degli espositori, semplici elementi con la funzione di sostenere, ad altezza d'occhio umano, i testi che accompagnavano ogni progetto presentato e che sono stati contenuti per intero nel catalogo della biennale.  Erano composti da un supporto costituito da un semplice mattone forato in argilla, una barra di acciao piegata (utilizzata per l'armatura nel cemento armato) e un cartoncino bianco con il testo in questione, legato alla barra attraverso un fil di ferro.  
Dalla scelta degli elementi, i più comuni materiali di costruzione impiegati massivamente in tutto il pianeta, sembra che la proposta sia quella di offrire un'idea di architettura accessibile a tutti, che non ha bisogno, in fondo, di una sofisticata ricerca degli elementi costruttivi, ma che è possibile a partire da un uso adeguato del materiale che si ha a disposizione, qualsiasi esso sia. 
La chiarezza funzionale di ognuno di questi tre elementi ci parla  del suo utilizzo razionale, della inscindibile coerenza tra natura del materiale e lavoro che realizza in qualsiasi costruzione, per quanto essa possa essere modesta. I dettagli sono grezzi; cemento a vista per demarcare il punto d'incontro tra la barra e la sua base, un fil di ferro legato approssimativamente per appendere i cartelli.
L'immagine è chiara; nessuna cura nelle rifiniture, nessun elemento in più che non abbia una funzione imprescindibile.  Arrivare all'essenziale, sembra voler dirci.

Due sono gli aspetti che ci interessa sottolineare in questa scelta.  Il primo è l'evidente richiamo alla povertà, all'utilizzo di mezzi semplici che si presentano senza pretese estetiche.  Per una biennale che ha centrato i suoi sforzi nella ricerca di esempi incoraggianti di architetture sociali la scelta sembra quasi essere forzata.  Il secondo è altrettanto evidente ed è inscindibilmente legato al primo, anche se passa, forse, in un piano secondario.  Quello che ci interessa di questi elementi, e che d'altronde è stato uno dei fili conduttori della biennale, è la loro esplicita nudità. Sta in essa contenuta la bellezza?

Quanti sforzi giganteschi sono stati sostenuti in questo fine millenio per costruire un'architettura della spettacolarità e a quale costo! Una architettura non solo scissa dalla società civile in quanto carente nell' offrire risposte adeguate alle sue necessità, ma anche profondamente slegata dalla propria natura in quanto indifferente alla sincerità costruttiva dei suoi elementi.  

Forse la chiave per ripartire sta nell' uso sapiente delle risorse materiali e umane, in un rapporto adeguato con la realtà che chiama alla pertinenza e al buonsenso.  Solo che da sole non bastano.  C'è ancora uno spazio molto meno tangibile per arrivare a parlare di architettura; una sintesi, forse, di forze contraddittorie che trascendono al mero utilizzo razionale per arrivare alla bellezza.



Sembra che abbiamo ricominciato la ricerca dalla parte giusta.